EMPLOYER BRANDING – Migliorarsi per migliorare

21 Aprile 2022 - Suitex

L’attuale evoluzione in senso qualitativo che interessa il mondo del lavoro a livello globale richiede alle aziende di adeguarsi costantemente a standard sempre più elevati, tesi a garantirne la credibilità e la solidità del brand aziendale agli occhi del pubblico e ciò anche nei confronti del mercato del lavoro.

Le aziende sono, infatti, chiamate a concentrare l’attenzione sul miglioramento continuo delle condizioni che possono offrire ai propri lavoratori, rendendo, in tal modo, appetibile il proprio brand per chi cerca lavoro nonché per le risorse interne già occupate.

Questo approccio ben può essere sintetizzato con l’espressione “Employer Branding”, nata negli anni 90’ per riferirsi all’operazione di costruzione della reputazione che un’azienda vuole dare all’esterno come datore di lavoro.

La costruzione di un’immagine aziendale positiva richiede numerosi interventi. Un buon punto di partenza potrebbe essere proprio la costruzione di un ambiente di lavoro che ne invogli il godimento da parte di chi è coinvolto. Le aziende sono chiamate a vigilare e garantire affinché le prestazioni lavorative richieste al personale vengano svolte in un clima positivo che, da un lato, consenta la piena esplicazione delle caratteristiche professionali di ogni lavoratore, e, dall’altro, sia inclusivo ed eviti qualsivoglia forma di discriminazione tra i lavoratori: del resto, “A good working environment is never an accident”!

Sicuramente uno degli strumenti a disposizione delle aziende per garantire l’assenza di discriminazioni, in particolare basate sul sesso, sono le politiche di equal pay che mirano ad eliminare il più possibile il c.d. gender pay gap soprattutto tra i lavoratori di sesso femminile e quelli di sesso maschile. Tali interventi risultano quanto più attuali anche alla luce della recente legge[1] che ha modificato il Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna, prevedendo – obbligatoriamente o facoltativamente, a seconda delle dimensioni occupazionali – un sistema di monitoraggio da parte delle aziende stesse sulle condizioni di lavoro (retribuzione inclusa) applicate alle lavoratrici donne, con la possibilità di accedere a sgravi fiscali e contributivi nel caso di interventi effettivi sulla materia.

Parimenti importante è cercare di arginare fenomeni che di norma colpiscono la quota femminile della popolazione aziendale, quali la segregazione orizzontale, che riguarda la concentrazione femminile in alcuni settori o aree funzionali all’interno delle aziende rispetto ad altri e, ancor di più, la segregazione verticale. Tale fenomeno si verifica quando le lavoratrici vengono relegate alle posizioni non dirigenziali, perché ne viene bloccata la carriera ai livelli più bassi o, comunque, ne viene impedito il pieno sviluppo di carriera fino all’apice: è, quindi, fondamentale che il datore di lavoro curi la gestione del proprio personale distribuendo in maniera paritaria ruoli e mansioni.

Ulteriori misure possono essere messe in campo per garantire quella che, soprattutto alla luce del periodo emergenziale (non ancora) trascorso, risulta essere una delle esigenze più sentite, ossia quella di garantire un buon working life balance: poter conciliare i due aspetti principali dell’esistenza umana (vita personale e vita professionale) non può che portare a risultati più performanti in entrambi. A tale scopo, soccorre la possibilità dello smart working, strumento che si è rivelato importante ed apprezzato, oltre che efficace, durante gli ultimi due anni di pandemia.

Le aziende possono offrire, laddove possibile, la facoltà di svolgere il c.d. lavoro agile, che consente una gestione più libera del tempo lavoro/libero, sempre tenendo a mente, peraltro, che si tratta di una modalità di lavoro ibrida, che comporta lo svolgimento della prestazione lavorativa parzialmente in sede e parzialmente da remoto: questo permette, infatti, di evitare, da un lato, la necessaria presenza fisica presso gli uffici aziendali, e, dall’altro, impedisce il completo isolamento della risorsa come nel caso del full remote working.

La garanzia dell’equilibrio vita privata/lavoro, però, non può certo fermarsi qui: la vita privata, nella maggioranza dei casi, comporta la gestione della famiglia, onere che non può assolutamente ricadere solo su determinate categorie di lavoratori, tradizionalmente, donne. Intervenire sotto questo aspetto significa garantire una particolare attenzione, non solo alla tutela della maternità e del periodo susseguente, ma anche – e soprattutto – garantire ai partner di poter dare il proprio apporto nella crescita e nella gestione della prole: prevedere asili interni alle aziende o garantire ai padri/madri di beneficiare dei congedi previsti dalle legge senza subire alcun pregiudizio di carriera, o, addirittura, riconoscere congedi ulteriori, ben potrebbero essere misure idonee al raggiungimento dell’obiettivo[2].

Certamente, la costruzione di una reputazione datoriale positiva impone degli incisivi sforzi nella coltivazione dei talenti di cui le aziende dispongono; e ciò ancor più se si tiene conto che la formazione continua consente di beneficiare di risultati sia a livello di performance sia a livello di risparmio di costi per la ricerca di personale all’altezza. Investire sul miglioramento professionale dei singoli lavoratori inciderà sulla gratificazione personale che essi riceveranno, il che produrrà un impatto sulla competitività aziendale globalmente intesa.

È bene che un efficace programma di formazione delle proprie risorse copra sia la formazione orientativa, sia quella on board ed è necessario stabilire preventivamente quali siano le esigenze e gli obiettivi aziendali per definire gli strumenti che potranno essere messi in campo. Le aziende potranno definire programmi di formazione interna, utilizzando, non solo le misure più “classiche”, come i corsi di formazione in presenza, ma anche le più innovative: si pensi agli strumenti di Incidental Learning, che consente ai lavoratori un apprendimento continuo ed indiretto, attraverso la messa a disposizione di piattaforme social aziendali nelle quali poter condividere le proprie conoscenze con il resto del Team o il Mobile Learning, che, con la creazione di contenuti fruibili direttamente dai singoli dispositivi mobili, consente un accesso pressoché ininterrotto ai contenuti formativi.

Potrà, al tempo stesso, essere garantita una formazione “off-premises”, facendosi carico dei costi relativi alla partecipazione a corsi, master, scuole di specializzazioni offerte da enti o istituti specializzati, anche all’estero, oppure offrendo esperienze di secondment presso realtà diversificate che consentano al dipendente di poter sviluppare al meglio le proprie skills ad il proprio know-how.

Aspetto correlato è quello della “fidelizzazione” dei propri lavoratori, soprattutto nel caso in cui l’azienda abbia fatto ingenti investimenti nel campo formativo, così da potersene assicurare i benefici. Allo scopo, le soluzioni possono essere le più svariate.

Partiamo, anche in questo caso, da quelle più tradizionali come la sottoscrizione di veri e propri patti di stabilità con i lavoratori: il patto di stabilità, o clausola di durata minima garantita, infatti, consente di vincolare il lavoratore all’azienda per un certo periodo di tempo, proprio allo scopo di far fruttare il bagaglio di conoscenze che il medesimo ha acquisito nelle attività di training.

Proseguendo, quale efficace modo di valorizzare il contributo di un dipendente alla crescita dell’organizzazione aziendale, consentendogli di raccoglierne direttamente i frutti, quasi come se ne fosse il titolare, risulta essere la predisposizione di Long Term Incentive Plan (L.T.I.P.), ossia programmi che consentono ai lavoratori di ricevere benefit economici aggiuntivi rispetto al trattamento puramente retributivo loro riconosciuto, ponendo dei target definiti su base temporale estesa. Il contenuto dei LTIP può essere diversificato e prevedere sia incentivi cash-based, in virtù dei quali i dipendenti sono “ricompensati” con emolumenti in danaro per il raggiungimento di determinati obiettivi di perfomance individuale e/o aziendale, sia incentivi legati ai titoli azionari dell’azienda.

Strumento più comune è sicuramente la partecipazione a Stock Option Plan (S.O.P.), con cui vengono assegnati diritti d’opzione sull’acquisto delle azioni – appunto – della società, esercitabili solo dopo che sia trascorso il c.d. “vesting period”, ossia il periodo di maturazione, al termine del quale queste potranno essere esercitate (durante il c.d. “exercise period”), sino al giungere dell’“expiration date”, ossia del termine massimo utile. Il prezzo al quale il lavoratore potrà comprare le azioni corrispondenti – il c.d. “strike price” –  è calmierato rispetto a quello di mercato ed è, solitamente, il valore che i titoli avevano alla data di attribuzione. Negli ultimi anni, soprattutto in taluni settori di business, vedasi le start up, si è assistito alla diffusione della pratica di assegnare Restricted Stock Units (R.S.U.), che consentono all’azienda di conferire gratuitamente ai propri dipendenti strumenti azionari, che, dopo il vesting period, possono essere ceduti dal possessore, seppur questo non possa percepire dividendi.

Trattandosi di benefici che premiamo la qualità del lavoro e la fedeltà al complesso aziendale, è importante prevedere sempre clausole ad hoc per i “bad leaver”, ossia i dipendenti che cessano il loro rapporto con la società, sia volontariamente sia in seguito a recesso datoriale.

Infine, un focus deve essere fatto sulle politiche di welfare, con ciò intendendosi le iniziative, i beni ed i servizi messi a disposizione come sostegno al reddito per accrescere il potere di spesa, la salute e il benessere del lavoratore: queste possono concentrarsi sulla predisposizione di meccanismi che incidono sulla retribuzione variabile, oppure garantire servizi integrativi per l’assistenza sanitaria, sostegno alle spese o supporto nella gestione dei familiari, anche in ambito scolastico. Questo è proprio uno degli aspetti sul quale più hanno concentrato i loro sforzi le PMI italiane durante il biennio di pandemia, come risulta dal Rapporto 2021 – Welfare Index PMI[3], a riprova di quanto il miglioramento delle condizioni di vita generali dei propri dipendenti abbia effetti immediati sulla salute aziendale.

In conclusione, si può affermare che, oggi come oggi, le aziende che mirano ad avere un primario posizionamento nel mercato di riferimento non possono esimersi dal mettere in atto il “marketing di sé stesse”, offrendo, anche in campo HR, soluzioni all’avanguardia e attente ai diritti individuali dei propri lavoratori, per far sì che lavorare all’interno dei loro contesti sia attrattivo e divenga un desiderio e non una mera necessità.

 

Carlo Majer – co-Managing Partner, Littler Italia  cmajer@littler.com

 

[1] L. 162/2021, “Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo.”
[2] Si segnala una delle prime e concrete misure messe in atto sul punto, da parte della società svedese Volvo, che, con una policy globale diretta a tutti i suoi dipendenti, ha riconosciuto un congedo parentale retribuito di 24 settimane, senza distinzione di sesso: https://www.secondowelfare.it/privati/aziende/volvo-lancia-i-congedi-di-paternit-di-sei-mesi-pagati-all80-cos-avremo-pi-donne-dirigenti/. O, ancora, l’intervento messo in piedi dalla società Fincantieri per la costituzione di asili nido delle diverse sedi aziendali: https://www.secondowelfare.it/privati/aziende/fincantieri-un-asilo-nido-aziendale-in-ogni-sito-produttivo/.
[3] https://www.welfareindexpmi.it/wp-content/uploads/2021/09/Welfare-Index-PMI-Rapporto-2021-1.pdf
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